Quante volte è capitato di sentire la frase “meglio fare invidia che destare compassione?” Quante volte è capitato di sentire parlare della compassione in un’accezione negativa? E quante volte si è confuso questo sentimento con la pena?
Bene, questo articolo si pone come obiettivo di fare un po’ di chiarezza e mettere in luce l’importanza della compassione.
Origine della parola compassione
Innanzitutto il termine deriva dal latino “cum patior” che vuol dire “soffro con” e dal greco “sym patheia” che si traduce con “simpatia, provare emozioni con”.
Tale concetto richiama quello di empatia. Veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione soggettiva che legava lo spettatore del teatro greco all’attore che recitava e anche l’immedesimazione che questo aveva con il personaggio che interpretava. La compassione, infatti, è un sentimento per il quale un individuo viene coinvolto emozionalmente nella sofferenza altrui, desiderando alleviarla. Si tratta di uno stato mentale che invoca l’altruismo e spinge ad agire. Si contrappone al desiderio di punizione e di vendetta.
Le componenti della compassione
Essa si suddivide in diverse componenti:
- una componente cognitiva: che comprende l’attenzione e la valutazione della sofferenza altrui, oltre che il riconoscimento delle capacità di agire di fronte ad essa.
- una componente comportamentale: che include l’impegno da parte di ognuno e la ferma decisione di agire in modo da aiutare ad eliminare la sofferenza.
- una componente emotiva: che spinge ad agire d’impulso generando reazioni emotive che provocano soddisfazione personale. Se si tessono relazioni con bontà e compassione sarà più facile sentirsi soddisfatti con le proprie azioni.
Ma quando si prova tale sentimento? Tendenzialmente si prova in presenza di una grave malattia, di un handicap invalidante, di una tragedia o un lutto. Si prova anche per uno stato di povertà estrema. La mancanza di risorse o l’incapacità di poter cambiare la propria situazione e la sofferenza che da questo deriva, producono in chi osserva il senso di pena e l’impulso a prestare aiuto. Vi è però una differenza tra pena e compassione.
Differenza tra i due sentimenti
La pena e la compassione sono forti sentimenti che si provano ogni volta che si vede la sofferenza e la sfortuna. Sebbene però molte persone credano che tra le due non ci sia differenza, in realtà incorre una sottile diversità. La pena si riferisce al forte sentimento di dolore e simpatia mentre la compassione riguarda la consapevolezza e la comprensione della sofferenza di qualcuno, nonché il desiderio di aiutarlo. Insomma, è molto più profonda e, per certi versi, più nobile della pena.
Infatti quest’ultima ha radici nella paura e nasce da una sensazione di superiorità e separazione nei confronti di chi prova dolore. La compassione, al contrario, ha proprio la capacità di aumentare il senso di connessione e interconnessione permettendo un positivo influsso della regolazione interattiva.
Sviluppare la compassione
Se si vuole percepire la sofferenza altrui ed esercitare anche l’auto-compassione, è necessario allenare il modo in cui si percepisce il dolore. La cosa che si deve fare è quindi concentrarsi, rendersi conto che non si è da soli, che ci sono delle persone che hanno bisogno di aiuto. Ovvero non voltarsi dall’altra parte.
I passi da compiere per iniziare a provarla sono essenzialmente 4:
- percepire la sofferenza
- valutare la sofferenza altrui
- provare a pieno l’emozione
- passare all’azione
Accogliere tale sentimento nella vita, poi, porterà significativi cambiamenti. Alcuni studi hanno dimostrato come la pratica della compassione abbia degli effetti benefici di natura fisica e psicologica. Su questa falsariga lo psicoterapeuta Paul Gilbert ha sviluppato la c.d teoria della compassione (CFT). Scopo di tale teoria non è solo mettere la persona in condizione di sviluppare la compassione verso se stesso e un atteggiamento di apertura verso gli altri ma anche promuovere la capacità di rispondere in modo compassionevole alle avversità.
Il beneficio principale è dato, infatti, dall’evidenza che la compassione rende più felici e contribuisce al contempo a diffondere felicità in coloro che sono vicino.